Regina Senatore: la storia della stella del Teatro Salernitano e il suo amore per Alessandro Nisivoccia
Era il 12 maggio 2016 quando il teatro salernitano pianse la scomparsa della sua regina di nome e di fatto. Regina Senatore, che il più ampio pubblico televisivo ha conosciuto per i diciannove anni da protagonista della soap “Un posto al sole” nella quale interpretava il ruolo della mamma vulcanica di Guido Del Bue, iniziò a calcare le scene a dodici anni. Nei suoi sessantaquattro anni di carriera ha lavorato con i più grandi, da Eduardo De Filippo a Vittorio Gassman, e insieme al marito Alessandro Nisivoccia, scomparso a gennaio scorso, fondò il Teatro Popolare di Salerno, formando alle scene intere generazioni.
Regina Senatore, regina del Teatro salernitano
La prima sede del sodalizio fu a via Pio XI e il nome del teatro fu scelto dal giornalista Nino Petrone: “Il sipario”. Nel 1971 si trasferirono nel centro storico, dove la denominazione restò, almeno inizialmente, invariata. Più tardi, nel 1978, il gruppo si scisse e nacque il San Genesio, nome scelto in onore del santo patrono degli attori. Quel palcoscenico, un piccolo teatro ricavato da una cantina di Vicolo Guaiferio, che “profumava” di umido (al teatro riescono anche questi miracoli), ha visto recitare attori di fama come Teresa e Giuliana De Sio, Jari Gugliucci, Nuccio Siano, Martino D'Amico e Beatrice Fazi.
Regina Senatore e Alessandro Nisivoccia: un sodalizio non solo artistico, ma soprattutto d’amore
Alessandro e Regina erano davvero una cosa sola. Si conobbero nel 1952 lavorando nel Gruppo teatrale “Maria Melato” di Tina Trapassi. Lei aveva tredici anni e, a quel tempo, era anche un'ottima ballerina. Lui le dichiarò amore nel Giardino degli Aranci, sul corso di Cava de' Tirreni, mentre – come ha raccontato più volte – un quintetto cantava “'Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e luna”, un classico della canzone napoletana.
Fu Nisivoccia a sostenerla nei primi passi della sua carriera teatrale tanto che lei lo riteneva il suo pigmalione. E lui ricordava sempre di come le avesse insegnato la tecnica recitativa e il buon utilizzo della voce, ma che non fu necessario darle un'anima, perché quella era innata.
E, con quell'anima, riusciva a passare con disinvoltura dalla commedia eduardiana “Sabato, domenica e lunedì” al “Macbeth” di WilliamShakespeare.